Investire nei paesi emergenti

Nonostante alcuni di essi, quali Cina, India e Brasile (i più interessanti ed interessati dal discorso che andremo a sviluppare), subiranno un lieve e momentaneo tracollo a causa dell’adeguamento di due fattori fondamentali d’ogni economia quali tassi d’interesse e inflazione galoppante, non vi è alcun motivo di credere che l’investimento, anche sostanzioso, nei paesi emergenti, non rappresenti un’investimento sicuro e sicuramente redditizio anche nel 2011.


Le ottime performance degli ultimi dieci anni e, in particolare, del biennio 2009-2010, che ha riportato l’economia dei suddetti paesi ai livelli pre-crisi del 2007, sono supportate da livelli di crescita costanti (ed impensabili per molte economie occidentali, Italia compresa) in numerosi settori il principale è quello delle infrastrutture.

A ritmi insostenibili, infatti, questi paesi stanno riuscendo a costruire autostrade, ferrovie, aeroporti ma anche abitazioni private, ospedali e scuole anche grazie agli investimenti consentiti da un sistema bancario che, per solidità e dimensione degli attivi, è tra i primi a livello mondiale.

Gli stati stessi, inoltre, e non soltanto le loro economie, stanno crescendo a ritmi vertiginosi. Il debito pubblico di queste nazioni, infatti, se una volta era su livelli decisamente elevati, ora fa invidia a moltissime realtà occidentali (PIIGGS) e ha contribuito ad assestare il credit default swap, per esempio dell’Indonesia, a 1,28% (quello italiano è al 2,15%).

Non vi sono dubbi che investire nei paesi emergenti sia sicuramente vantaggioso e possa trasformarsi, grazie ad un paniere azionario diversificato e costruito grazie ad un consulente esperto, in ricavi dell’ordine del 16% annuo.

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